Corpi che parlano. Corpi che vendono. Corpi che ti fanno sentire inadeguata, in difetto, insoddisfatta. Corpi che ti dicono che sei bellissima così come sei. Anche quando non ti ci senti affatto, bella.

Corpi che fanno tutto al posto tuo: ti spiegano chi sei, in cosa dovresti credere, cosa dovresti comprare, pensare, dire.

Corpi fragili che non reggono più il peso di tutto quello che si portano addosso.

Quando, il nostro aspetto è diventato più identitario del nostro pensiero?

Ho capito che la questione identitaria ci stava sfuggendo di mano quando sono iniziate le restrizioni.

Da quando in qua non posso esprimere un concetto se non appartengo alle taglie forti o soffro di acne tardiva, ho i denti storti, il diastema, le lentiggini, i fianchi larghi, le gambe corte o troppo lunghe. A chi ascolta, che gliene dovrebbe fregare di come sono fatta? Sto formulando un pensiero, non sto mica facendo la fila per farmi schedare come comparsa a Cinecittà.

L’atteggiamento body positive che prometteva assoluta libertà si è rivelato, al contrario, una gabbia senza via di fuga.

Ma siccome scappare è impossibile, difendersi è d’obbligo. Ecco come riconoscere le 3 positività di cui potremmo fare tranquillamente a meno:

  1. Positività tossica: la si vede spesso tra le storie di Instagram e si palesa sempre allo stesso modo. In pratica un Influencer, o aspirante tale, ti dice che ha il tuo stesso problema. Solo che lo risolve in 15 secondi. E tu no.

Tossica perché non è vero che tutto passa in quindici secondi. Soprattutto, è alquanto improbabile che il processo di accettazione sia così semplice e veloce.

 

  1. Positività strumentale: Sempre lei con il filtro California ti dice che da quando usa questo prodotto sta benissimo. Soprattutto da quando accanto ci mette l’hashtag #aff che sta per “affiliate” che a sua volta sta per “più ne compri più guadagno”. Direi che possiamo fare a meno di entrambi: prodotto e Influencer.

 

  1. Positività irreale: Si mostra nuda dicendoti che nonostante i difetti (?) accetta il suo corpo “normale”. Però:
    1. Il corpo è di gran lunga al di sopra di quelli che solitamente noi mortali definiamo normali
    2.  Ritocca la foto e il risultato è una pelle di pesca, viso piallato e talmente illuminato che quasi scompare il naso, se la cellulite c’è di certo non si vede e smagliature manco per sbaglio. Diciamo che me la immaginavo diversa l’accettazione di sé.

Celebrare una smagliatura in nome della body positivity è bellissimo e ognuno sceglie il modo che preferisce di portare a casa la pagnotta. Ammetto, però, che mi piacerebbe se ne parlasse per normalizzare concretamente i difetti, senza cercare di vendere per forza qualcosa al termine del pippone emotivo-markettaro.

Lo so, questo non è un articolo sull’etica professionale e i venditori di sogni e bugie continueranno ad esistere anche senza la mia approvazione.

È che la body positivity dovrebbe essere pura e semplice accettazione di sé.

E l’accettazione di sé, a un certo punto, non avrebbe dovuto tramutarsi in un stigazzi gigantesco di come siamo fatti? Non sarebbe fantastico leggere didascalie tipo “io dico quello che penso perché mi va e non perché ho un certo difetto che potrebbe farmi fare una fortuna se solo riuscissi a sfruttarlo per bene”?

Che poi, è un attimo andare a rovistare fra i traumi adolescenziali per scovare un “difetto” che ci aiuti a vendere una crema o una consulenza o una guainetta massaggiante. Ma mi chiedo: è davvero necessario tirare in ballo le prese in giro subite a tredici anni e ormai superate?

Perché, sia chiaro, se è vero che “abitiamo tutti un tempo in cui i traumi d’infanzia sono materia di lagna adultacome dice Guia Soncini nel suo L’era della suscettibilità, è altrettanto vero che se quella ferita è ancora aperta mi sa che serve più parlare con una/o brava/o che spalmarsi una crema.

Non vorrei sembrare cinica e, anzi, mi piacerebbe parlare dei miei difetti con disinvoltura senza che questi diventassero per forza un’etichetta da appiccicarmi addosso e non staccare più. Vorrei farlo per il gusto di condividere la mia esperienza, per farmi coraggio nelle giornate in cui mi sembra che la gente fissi le chiazze rosse della dermatite o il brufolo spuntato quando mannaggiaame ero già uscita di casa e non son riuscita a farlo fuori.

Insomma, vorrei che la body positivity non fosse solo la sagra del difetto in piazza ma l’elogio alla pura e semplicenormalità.