Lo so, arrivo tardi, così tardi che quella sera senza social network ormai è solo un lontano ricordo confuso. Ma non per me. Io sto ancora rimuginando su quanto la retorica mi indisponga.

Vabbè ve lo ricordo io che è successo: 7 ore senza poter stare sui social seguiti da 3 giorni di persone che dicevano quanto fossero state bene senza i social. Ho letto da qualche parte “È stato un brivido di sollievo che sapeva quasi di libertà!”. Addirittura?

Io l’ho vissuta in modo un po’ contrastante. Ero feliciona di non vedere nessuna notifica sul telefono e sono andata a yoga. Certo, mi è dispiaciuto non aver potuto controllare il pixel appena settato della new entry @iltettodellenuvole ma per il resto tutto ok.

Ero anche un po’ impaurita dato che gran parte del mio lavoro “dipende” dai social e quindi, insomma, per quanto una possa provare a stare tranquilla, un po’ di pensieri li ha. Ma ho sempre gran fiducia in Mark.

In ogni caso, questo non è un post su quanto sia impossibile per un trentenne pensare al futuro “giacché non esiste altro tempo che questo meraviglioso istante”*… Ecco, detta così pare quasi una bella cosa, ma torniamo a noi.

Di tutto quello che ho visto e che ho letto successivamente al blackout, quello che mi ha più, come dire, fatto ruotare le palle degli occhi al cielo, è stato il post di Saviano. Non solo per la grafica discutibile (icone di Wapp, FB e IG con crepe) ma per la retorica di cui non credevo avessimo bisogno.

Mi chiedo quando e se mai finirà questa continua lotta a chi ce l’ha più grande, l’etica.

 Il succo del suo post  a me è sembrato questo: Io Saviano uso Instagram esattamente come te ma tu vendi creme, io libri, quindi tu stronzate, io cultura. Quindi tu devi metterti in disparte perché se ti crolla l’internet fallisci dato che non hai nulla da dire. Io, invece, che mi lamento di un social network nel social network tirando in ballo il petrolio contenuto nel dentifricio, mi salverò dall’estinzione pure se Zuckerberg chiuderà i battenti.

Ecco, per quanto sia importante la causa di cui uno si fa portatore no, non è così che funziona. Non puoi dare dell’imbecille a qualcuno solo perché si guadagna da vivere in modo diverso dal tuo.

Ma soprattutto come fai a dire, oggi, che non possiamo scegliere. Certo che è difficile rinunciare a far parte di un gruppo di persone di cui fanno parte pressoché tutti. Ma farne parte o meno, è una scelta non un obbligo. Ammetti, piuttosto, che a te come a tutti gli altri, fa comodo. Ti piace. Ti fa stare al centro dell’attenzione e pure guadagnare.

Quindi basta con le frasette da boomer tipo “l’infernale chat è andata giù…”. Ma che è? Ma davvero mi vuoi far credere di non essere in grado di silenziare un gruppo WhatsApp? Di disattivare le notifiche dai social per goderti il tempo per te? Beh, in quel caso hai un problema e non è Mark Zuckerberg.

Sarò sincera, non sono così fiduciosa che, prima o poi, la smetteranno di farci la paternale su quanto sarebbe tutto più bello il mondo se solo non stessimo con la testa sul telefonino tutto il giorno. Tipo quelle pseudo pubblicità progresso con la musichina ansiogena e una bambina che cade davanti al padre che non se ne accorge perché sta su WhatsApp.

Forse sarò controcorrente ma se “ci lavori con questi” impari anche a distaccartene, a vederli come uno strumento, a servirtene e non a subirli. Ad ascoltarli, comprenderli, padroneggiarli.

Perché ogni volta che succede un fatto simile dobbiamo incassare le boomerate di chi ancora vede i social network come una privazione della libertà o come un “giochino per le donne mezze nude di mostrare la loro inferiorità” (semicit. di un Montemagno pentito).

Che poi, se è stato così meraviglioso starne fuori, allora stacce. No?

Vi lascio con la stessa domanda che mi sono posta dopo aver letto più e più volte il post di Saviano: era davvero così necessario scomodare il petrolio nel dentifricio?

*Il mio passato di Alda Merini. Era giusto per darmi un tono, non avremo futuro ma almeno i fondamentali per fare bella figura a cena sì, dai.