Suona molto come le-mezze-stagioni-non-esistono-più ma ha la pretesa di non essere solo contorno, solo un non è tanto il caldo ma l’umidità che ti frega. Si impone come discorsone che pretende di scuoterti lasciando tutto fermo.

È il politicamente corretto, bellezza. E noi, purtroppo, non possiamo farci niente.

Mi fa strano anche parlarne perché bisogna stare sull’attenti con questo argomento. C’è sempre chi potrebbe obiettare dicendo: “Vuoi dire che non sei d’accordo? Quindi non pensi che siano orribili tutte le guerre di tutto il mondo di tutte le epoche?” Ma che vuol dire, certo che son d’accordo ma, ecco, non mi sembra nulla di nuovo.
Il problema del politicamente corretto è che da un lato devi stare attento a tutto e non turbare nessuno. Dall’altro, è come se di fatto non stessi dicendo nulla perché lasci tutto così com’è, non sollevi nessuna domanda, dubbio, argomentazione.

D’altra parte, c’è da chiedersi: che polverone vuoi sollevare? Di quale causa vuoi farti portavoce? Da che parte stai?
E devi per forza schierarti da una parte, non puoi dire: non c’è nient’altro se non quello che ho detto perché tutto è interpretabile e tutto può essere usato a favore o contro di te.

Forse ha ragione Lundini : il politicamente corretto si supera ignorandolo.

E il mio auspicio è di preoccuparci meno di ciò che gli altri dicono, fanno o pensano per evitare di imbruttirci pure noi. E poi, perché è già faticoso così.
Tipo ora, davvero vogliamo giocare a chi prende più seriamente la guerra? A chi dice le cose più giuste?

Tutto questo mi nausea, mi immobilizza. Non riesco a pensare a nulla, mi passa tutta la fantasia. Sfrutto le riserve creative rimaste per i clienti, ma per me ho finito tutto.
Vorrei solo che ammettessimo di essere fragili, deboli, impotenti, sfiniti. Frustrati da due anni terribili e che alla lunga potrebbero persino rivelarsi meno peggio di quelli che ci aspettano.

Forse siamo più bravi con le cose futili.
Penso al post di Sapore di male: “vi ricordate quando il nostro problema era la fila di 20 ore al padiglione del Giappone a EXPO 2015? Ecco.

Discutere di cose inutili, mi manca. Mi manca la leggerezza, mi manca cercare un paio di jeans che mi stiano bene sui fianchi senza sentirmi in colpa. Mi manca uscire a cena senza l’angoscia di pensare a chi non può farlo o senza pensare di prendermi il virus.

Vorrei non sentirmi in colpa per essere al sicuro sotto un tetto che non rischia di essere buttato giù. Senza pensare di essere ingiustamente dalla parte fortunata della Terra.

Dovremmo alzare gli occhi al cielo solo per contare le stelle. Dovremmo avere la spensieratezza di chi ancora sa che può giocare. Invece sembriamo tutti degli adolescenti cresciuti troppo in fretta, che si devono far carico di cose troppo grandi adesso, senza nemmeno avere il tempo di mettere via le bambole.

Dovremmo poter ricominciare a sognare, fare progetti più lunghi di una settimana, non rimandare i viaggi.

Dovremmo ricominciare a credere che non sia davvero tutto qui. Che c’è ancora del bello ad attenderci e che dobbiamo solo pazientare un altro po’.